Rocca Sforzesca Di Dozza

Castello Emilia Romagna, Bologna - Dozza

Epoca
XI Secolo
Visitabile
Si, pagamento
Proprietà
Comune

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Descrizione

Maestosa eppure ben armonizzata con il resto del borgo: è la Rocca Sforzesca, la cui ultima ricostruzione sulla base delle rovine di precedenti fortezze è stata voluta nel tardo Quattrocento da Caterina Sforza, Signora di Imola e di Dozza, da cui il castello trae il nome. L'aspetto attuale della Rocca è però il frutto delle trasformazioni da struttura puramente militare a palazzo signorile, iniziata da Annibale, Baldassarre e Vincenzo Campeggi che occuparono l’edificio nel 1565 e terminata da Antonio Campeggi nel 1594 per volere dalla famiglia bolognese dei Malvezzi.

Presenta una struttura architettonica che ad oggi si presenta in buono stato di conservazione. Il complesso è a pianta esagonale, con un perimetro di circa 200 metri, ed è caratterizzato da due torrioni angolari circolari innestati sul corpo centrale a pianta poligonale. L’accesso alla Rocca avviene tramite un ponte che aggetta su un fossato (numero 1 della planimetria), un tempo pieno d’acqua. Un portone ferrato immette nel palazzo, mentre un corridoio conduce a un cortile che presenta colonne con capitelli finemente decorati e due logge di gusto rinascimentale. Vicino all’ingresso un grosso torrione circolare, nel quale alcuni studiosi hanno individuato il mastio, è posto a presidio della parte più importante dell’edificio. Questo torrione, detto Torresino (vedi in planimetria, numero 2), misura 16 metri di diametro e ha uno spessore che varia dai 3 ai 6 metri. Di minori proporzioni è invece l’altro torrione, il cosiddetto Torrione dei Bolognesi (numero 3 della planimetria), dal diametro di 11 metri e spesso dai 2 ai 4 metri. In realtà non tutte le opinioni convergono sull’ipotesi che il torrione d’ingresso possa essere il mastio. Si è pensato, infatti, che il mastio possa coincidere con il torrione quadrato, posto sul lato nord-ovest della rocca. In tal caso si giustificherebbe l’ipotesi con la necessità di localizzare il luogo dell’estrema difesa lontano dall’ingresso, dove invece si svolgeva il primo e più violento assalto nemico. I muri perimetrali delle altre due facciate sono fortemente scarpati, toccano direttamente il terreno e comprendono due bastioni romboidali. Osservando la struttura attuale, che è appunto il risultato delle modifiche apportate in epoca cinquecentesca, si possono notare alcuni elementi precedenti e tentare una possibile ricostruzione dell’antico edificio nel periodo del dominio degli Sforza. I torrioni, così come tutto il resto del fortilizio, erano scoperti, ed erano coronati da merli. Tale coronamento prevedeva, alternativamente, delle aperture al centro dei merli, attraverso le quali era possibile tirare le frecce e osservare, protetti, le mosse degli aggressori. Sotto, in corrispondenza di queste aperture, si possono vedere tuttora dei fori circolari, che servivano per fare passare le bocche dei lunghi fucili, detti spingarde. Sul pavimento, per il tiro verticale, erano realizzati ulteriori fori, le cosiddette caditoie, dalle quali si poteva attaccare il nemico che si fosse spinto fin sotto le mura della Rocca. Dalle caditoie, per ridurre le resistenze dell’avversario, spesso veniva gettata anche acqua o olio bollente.

Le trasformazioni, che hanno fatto della Rocca una residenza signorile, hanno insistito proprio sull’eliminazione di questi elementi, perché erano di carattere principalmente militare. Tutta la struttura è stata coperta e i vuoti tra i merli hanno assunto la funzione di finestre. Sul lato sud-ovest inoltre la merlatura è stata abbattuta e sono rimasti solo gli archetti. Le modifiche maggiori sono tuttavia avvenute all’interno dell’edificio. Qui l’elemento più significativo del nuovo gusto signorile impostosi è rappresentato dal cortile (vedi planimetria, numero 4). Realizzato su una doppia loggia, con colonne dai capitelli particolarmente decorati, è da esso che partono le scale che conducono poi ai vari ambienti della Rocca. La parte più significativa di quella che divenne dunque la residenza Campeggi-Malvezzi si trova al primo piano, ed è costituita da una “sala maggiore” con una grande portafinestra che immette ai camminamenti di ronda delle cortine sud della Rocca; in alto, sui quattro lati, figurano venti ritratti di antenati illustri dei Malvezzi tra cui Pirro, il primo conte. In basso sono appesi quattro grandi ovali racchiusi da cornici dorate, opera del ferrarese Felice Torelli (XVII secolo): si tratta di ritratti a figura intera, dagli abiti e gli atteggiamenti dell’epoca. Raffigurano Emilio Malvezzi, sua moglie Teresa Sacchetti, Antonio e Matteo Malvezzi. Nel salone è appeso anche un grande arazzo di lana e seta, databile alla metà del XVII secolo, su cui spiccano gli stemmi dei Malvezzi e dei Campeggi. Nella sala attigua, arredata con tavolo rustico in noce del XVI secolo e una cassapanca dello stesso periodo, è appeso il dipinto raffigurante la famiglia Campeggi (1633) ad opera di Lorenzo Pasinelli e, nella parete di fronte, il ritratto di Lorenzo Campeggi. Vanno inoltre ricordate la “sala rossa”, arredata con una grande specchiera dorata del XIX secolo, una cassapanca cinquecentesca e il soffitto a cassettoni, e la contigua “camera di Pio VII”, che conserva l’arredamento del soggiorno dell’allora vescovo di Imola Barnaba Chiaramonti, costituito da letto e canterani del ’600. Al suo interno vi si trova anche il quadro “Madonna con bambino” di Alessandro Tiarini, del ’600. A lato della “sala maggiore” vi è la “sala d’armi”, dal soffitto decorato e un lampadario in ferro battuto, contenente armi d’epoca. Sul lato sinistro della sala maggiore si apre una stanza che dà accesso alla “cappella” dedicata alla Madonna Immacolata, ricavata nello spessore del muro (3,30 metri di profondità) con un altare e un confessionale di stile barocco. Di fronte è posto un pozzo a rasoio, antico trabocchetto militare di difesa interna, scoperto e riportato alla luce negli anni ’70 a seguito di interventi di restauro dell’edificio. Seguono la “camera da letto” e la “camera degli ospiti”. Dalla camera degli ospiti si accede a un ingresso di servizio che presenta tracce di decorazioni del ’400, mentre sulla loggetta sulla corte lato nord si apre un locale con “bagno” realizzato in scagliola. Dall’appartamento del feudatario, una scala conduce al Torrione dei Bolognesi e, seguendo gli antichi camminamenti di ronda della cortina sud, alla sommità del Torresino. Scendendo nel cortile con loggiato, ci si addentra poi all’interno dei torrioni dove trova spazio la stanza della tortura, dalla quale si accede alla grande fossa dei supplizi alle antiche prigioni con le celle di segregazione, che conservano ancora le scritte dei detenuti graffite sui muri. In una cella è incisa la rozza sagoma di uno scheletro seguito da versi scritti da Bartolomeo Monti nel 1640: “O tu che guarda insu/io era come dici tu/tu serrai commo sono io/guarda in questo e spera in Dio”. Sempre con accesso dal cortile interno, si aprono inoltre la lavanderia e la suggestiva cucina, tipico complesso di attrezzatura patriarcale emiliana con madie, casse, tavolo, pozzo, torchio e utensili d’uso quotidiano.

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Prezzi ed orari

Come raggiungere

Dozza è a tre chilometri dalla Via Emilia, nel tratto fra Bologna e Imola, da cui dista rispettivamente 25 e 6 chilometri. Per raggiungerla in auto, uscite dall'autostrada A 14 (Bologna - Ancona) a Castel San Pietro Terme (se si proviene da nord) o a Imola (se si proviene da sud). Percorre poi la Via Emilia fino al bivio per Dozza.

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leoleo

leoleo

  • 08/03/2013

se non mancassero arredi,e in particolrae nell'appartamento di "ritirata" della famiglia, quand'era sotto assedio, direi che merita lungo applauso, complimenti comunque. Visitata 4 volte.

Storia

Il primitivo insediamento va con probabilità identificato topograficamente in quel “Vicus Calancus” fondato in epoca romana, e nel 1086 cinto di mura e munito di torre dai bolognesi sull’unica entrata al Borgo, dando così origine all’attuale abitato. La più antica notizia documentata risale al 1126, quando si trova nominato per la prima volta “Castrum Dutie” (Castello di Dozza). Quest’ultimo, attorno alla metà del XII secolo, veniva confermato dalla Chiesa imolese, ospitando a più riprese il vescovo e i canonici della cattedrale d’Imola dopo la distruzione del castello di S. Cassiano operata dagli Imolesi nel 1150. Nel 1198, la guelfa Bologna riuscì a impadronirsi del castello, provocando l’esodo dei Dozzesi di parte ghibellina che si rifugiarono a Imola, ove trovarono abitazione in una strada poi denominata via Case di Dozza. Ricostruito nel 1220 per iniziativa di Giovanni Re di Gerusalemme, Legato papale in Romagna, nel 1222 la Rocca fu occupata nuovamente dai Bolognesi alleati ai Faentini. Nel 1310 poi, sempre i Bolognesi ma stavolta per iniziativa di Romeo Pepoli, commissario della guerra, avvalendosi dell’opera dei muratori Arpino di Cantagallo e Bernardo di Montecatone, provvidero a fortificare la rocca che era stata eretta (o più probabilmente ricostruita) dagli stessi Bolognesi verso la metà del sec. XIII; a ricordo dei lavori fatti eseguire durante la sovranità di Bologna, si conserva ancora un torrione detto appunto “dei Bolognesi”. Inoltre, sempre in quell’anno, venne fortificata la rocchetta edificata nel 1250 a difesa della torre d’ingresso al borgo, attraverso la realizzazione di un rivellino. Nel 1412, dopo aspre contese tra le fazioni guelfa e ghibellina, Dozza divenne feudo della famiglia Alidosi e poi dei Riario.

Fu nel 1494 che la Rocca cadde sotto il dominio di Caterina Sforza, moglie di Girolamo Riario. È proprio dalla "signora di Imola e di Dozza" che la Rocca trae il suo nome. Durante il suo governo il castello fu ulteriormente potenziato e dotato di efficienti opere di difesa su progetto dell’ingegnere militare Giorgio Marchesi. Grazie alle nuove fortificazioni poste in atto dal Marchesi, la Rocca poté resistere per oltre un mese ai reiterati e violenti attacchi di Cesare Borgia, che comunque se ne impadronì nel 1499.

Una svolta decisiva nei destini della località si ebbe nel 1529 quando essa, dopo avere avuto nell’anno precedente una breve signoria della famiglia Malvezzi di Bologna, veniva ceduta da papa Clemente VII per 4.000 scudi d’oro in feudo al Cardinale Lorenzo Campeggi (bolognese) in riconoscenza dei servigi da lui prestati come Legato pontificio in Inghilterra, in un momento particolarmente delicato che tra l’altro avrebbe portato alla rottura tra la Chiesa inglese e quella di Roma. I lavori di ristrutturazione e di ampliamento del possente edificio furono affidati ai Massari di Dozza (ossia ai capi pro tempore della Comunità) e si protrassero fino al 1594, col precipuo scopo di ricavare capaci e decorosi ambienti consoni alle funzioni di sede di rappresentanza feudale della Rocca. Fu con questi interventi che la Rocca assunse l’aspetto che conserva tutt’oggi. Nel 1728, con la morte di Lorenzo Campeggi, ultimo maschio della sua casata, il marchesato di Dozza pervenne, per eredità devoluta, a Francesca Maria Campeggi, moglie di Matteo Malvezzi, la quale trasferiva così i diritti feudali a quest’ultima famiglia il cui cognome, assieme a quello degli estinti Campeggi, venne da allora in poi a formare il binomio inscindibile (tutt’oggi la Rocca è intesa anche dei Malvezzi-Campeggi).

Nel 1798, a seguito delle confische napoleoniche, la rocca fu sul punto di venire confiscata, ma il marchese Giacomo Malvezzi-Campeggi seppe scongiurare un simile provvedimento dimostrando con appositi memoriali che essa era stata acquistata per 4.000 scudi d’oro dal Cardinale Lorenzo Campeggi e che era stata in seguito più volte ampliata e restaurata dai Campeggi e dai Malvezzi-Campeggi, che ne avevano fatto la loro residenza. Pertanto, la costruzione era da considerarsi un bene allodiale, o comunque privato, e non un bene feudale e quindi non doveva soggiacere alla confisca. I discendenti della famiglia abitarono la Rocca fino al 1960, anno in cui all'estinzione dell'ultimo erede l'acquistò il Comune grazie anche al sostegno della Provincia di Bologna. Fu automaticamente in quest’anno che avvenne l’apertura al pubblico della dimora signorile. Dal 1999 è stato avviato un progetto di recupero e riqualificazione complessiva della Rocca ancora in corso, finanziato dal Comune e dalla Regione Emilia Romagna. Tuttora la Rocca rappresenta il cuore pulsante di Dozza grazie ad intelligenti interventi di riuso.

 

Indirizzo: Piazzale della Rocca, 6/a

Facilities

  • Matrimoni
  • Meeting
  • Museo
  • Informazioni
  • Toilets
  • Scale

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