Castello Di Lagopesole

Castello Basilicata, Potenza - Avigliano

Epoca
XIII Secolo
Visitabile
Si, pagamento
Proprietà
Demanio

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Descrizione

Il Castello di Lagopesole sorge su una collina alla quota di 820 metri s.l.m., posta sullo spartiacque tra i fiumi Ofanto e Bradano. Il borgo di Lagopesole, che si apre a ventaglio sul fianco rivolto a sud della suddetta collina, fa parte del comune di Avigliano, in provincia di Potenza.

Il maniero, costruito su una roccaforte normanna, domina tutta la sottostante valle di Vitalba, è realizzato in conci di pietra arenaria e conserva ancora oggi la struttura originale. Tenendo presente il suo amore per la caccia e per la natura, Federico II fece di questo luogo la dimora prediletta.

Il castello, a pianta rettangolare, presenta due cortili: il minore, di epoca altonormanna, conserva al centro un mastio (donjon) quadrato che curiosamente è fuori asse rispetto al resto della struttura, il che indica, molto probabilmente, l'anteriorità della sua costruzione rispetto al castello antistante. Il donjon è caratterizzato da una muratura bugnata nella parte superiore, tipica dell'architettura sveva, risalente molto probabilmente all'epoca di Enrico VI di Svevia. Anche le due teste (un uomo e una donna) scolpiti nel portale d'ingresso alla torre fanno pensare ai figure che si ritrovano nei castelli svevi dell'Alsazia, costruiti alla fine del XII secolo.

È da sottolineare anche la compattezza, tipica delle strutture sveve: solo tre feritoie, infatti, si aprono sulle pareti sud, est ed ovest, mentre su quella nord c'è l'unico possibile accesso, a circa quattro metri dalla quota di calpestio, cui corrispondono due grandi mensole in pietra (probabili basi d'appoggio per un passaggio mobile) ed altre due mensole figurate nella parte superiore. Il cortile maggiore, risalente all'ampliamento iniziato da Federico II di Svevia nel 1242 include una vasta cisterna ed una grande cappella.

Proprio quest'ultima è una peculiarità che contraddistingue questo castello da tutti gli altri attribuiti a Federico II di Svevia; infatti la presenza, al suo interno, di una chiesa vera e propria e non di una semplice cappellina è l'unico esempio tra tutti quelli risalenti a quell'epoca imperiale. La chiesa, in un austero stile romanico, restaurata negli ultimi anni del XX secolo, ha un'abside semicircolare e l'entrata decorata con il motivo dei denti di sega.

Ogg la proprietà del castello di Lagopesole è del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali ed è gestito attraverso il Corpo Forestale dello Stato - Ufficio territoriale per la biodiversità di Potenza. In capo al Ministero dei Beni culturali la tutela dal punto di vista architettonico. Il Castello di Lagopesole, inserito all'interno della Riserva Nazionale Antropologica "Coste Castello", è aperto al pubblico ed è divenuto un vero e proprio contenitore d'arte.

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Prezzi ed orari

Come raggiungere

da Potenza [31 km] Prendere la SS407; Imboccare la SS658 Potenza-Foggia; Uscita Castel Lagopesole

da Foggia [85 km] Prendere la SS655; Uscire sulla SS658 Foggia-Potenza direzione Potenza; Uscita Castel Lagopesole

da Matera [116 km] Prendere la SS7; Imboccare la SS407; Prendere la SS658 Potenza-Foggia; Uscita Castel Lagopesole

da Salerno [133.5 km] Prendere la A3 direzione Reggio Calabria; Uscita Potenza/Sicignano; continuare per la SS658 direzione Foggia; Uscita Castel Lagopesole

da Taranto [170 km] Prendere la SS106; Uscire sulla SS407; Imboccare la SS658 Foggia-Potenza; Uscita Castel Lagopesole

da Bari [175 km] Prendere la SS96; Continuare in A14; prendere la A16; uscire sulla SS658 Foggia-Potenza direzione Potenza; Uscita Castel Lagopesole

da Napoli [187 km] Prendere la A3 direzione Reggio Calabria; Uscita Potenza/Sicignano; continuare per la SS658 direzione Foggia; Uscita Castel Lagopesole

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Cizzart

Cizzart

  • 18/02/2012

Un castello che ho visitato numerose volte, sorge in cima ad una verde collina, un un territorio molto bello. Molte le iniziative e rievocazioni che vi organizzano.

Storia

Frammenti ceramici, buche di palo e selci lavorate - rinvenuti nel corso delle recenti campagne di scavo condotte nell’area del cortile minore del castello - attestano incontrovertibilmente la frequentazione di questo sito sin dall’età preistorica. Successivamente, anche talune popolazioni di stirpe lucana ebbero ad eleggerlo a loro dimora, avendone la terra restituito preziosi frammenti ceramici a figure nere.

Labili ed incerti sono, allo stato attuale della ricerca archeologica, i riscontri per l’età romana. Si deve a Giustino Fortunato (1848-1932), insigne storico e politico lucano, la memoria di un ormai scomparso ‹‹cippo marmoreo›› ubicato un tempo nel castello di Lagopesole, sul quale un’iscrizione recitava ‹‹aver l’imperatore Massenzio [...] restituita viam Herculiam ad pristinam faciem››. Costruita sul finire del III secolo d. C. da Diocleziano e Massimiano Erculeo al fine di implementare la viabilità nell’Italia meridionale, la via Herculea tagliava trasversalmente la Basilicata, creando un asse nord-sud. Dall’antica Venosa, da cui si dipartiva il collegamento per la Puglia, originavano anche diverticoli minori supplenti alla viabilità più interna, attraverso i quali la Herculea si inoltrava fino a Potenza. Molteplici stazioni - si evince dalla Tabula Peutingeriana - segnavano l’intero itinerario, consentendo la sosta a quanti lo percorrevano. A poco più di 12 miglia da Potenza sorgeva, di fatto, la terzultima stazione della strada: Pissandos, l’antica Lagopesole.

Sulle rovine del tardo Impero di Roma si fecero poi avanti gli Arabi, i Bizantini e i Longobardi, anche e soprattutto nell’Italia meridionale. Nessun riscontro hanno fornito, ad oggi, le indagini archeologiche in merito alla suggestiva tradizione storiografica che narra dei Saraceni come fondatori del primo impianto del castello nel 743. Certo è solo - attestano le fonti documentarie - che il presidio di Lagopesole fu conquistato nell’876 da un’orda di Saraceni che risaliva il fiume Bradano dopo aver depredato i casali sulla Gravina di Matera. Dopo la fuga determinata dall’esercito bizantino, gli Arabi tornarono nuovamente ad occupare Lagopesole nel 926, per rimanervi fino al 929, quando furono definitivamente sconfitti dai principi longobardi Guaimaro II di Salerno e Landolfo I di Benevento.
Rimanda più probabilmente ad un greco, forse un funzionario imperiale di stanza in Basilicata, la costruzione di quello che le indagini archeologiche hanno evidenziato come il primitivo impianto del castello di Lagopesole, uno dei presidi bizantini inglobati nel sistema di controllo territoriale regolato dalla città-fortezza di Acerenza.

Le strutture murarie di questa prima fase, ascrivibile alla seconda metà del X secolo, si leggono in una cisterna, un focolare e un recinto fortificato che, significativamente, presenta un orientamento del tutto diverso rispetto al successivo impianto normano-svevo. Relativo all’epoca della presenza bizantina nel territorio di Lagopesole è un atto di donazione del maggio 1036, riportato nel tomo sesto del Codice diplomatico della badia di Cava. Il prezioso documento - sottolinea il Fortunato - registra la concessione da parte di un Nicola, ‹‹archiepiscopus canusinae ecclesiae››, al ‹‹dilettissimo figliuol suo Nicola›› di una chiesa intitolata ai Beati confessori e pontefici Nicola e Basilio, fatta edificare dallo stesso prelato al di sopra della chiesa di San Simeone, proprio nei pressi del lago di Lagopesole.

La discesa dei Normanni nell’Italia meridionale culminò, nel nord della Basilicata, con la presa di Acerenza e la cacciata dei Greci nel 1061, eventi a partire dai quali i “cavalieri venuti dal Nord” si dedicarono alla costruzione di difese stabili determinanti per lo sviluppo del nascente Regno di Sicilia. In questo contesto si inserisce anche la radicale ricostruzione dell’oppidum di Lagopesole, menzionato per la prima volta come tale in un documento datato al 1128. In quell’anno - ricorda Falcone Beneventano - dopo aver tolto Genzano al ribelle Roberto di Granmesnil, Ruggero II raggiungeva vittorioso la città di Melfi facendo tappa ‹‹ad oppidum, quod vulgo nominatur Lacumpensilem››.

Nel contesto di una generale ricostruzione, dalle murature dell’antica fabbrica bizantina furono recuperati ingenti quantitativi di pietrame per il nuovo edificio: la lettura degli archeologi ha rilevato, infatti, che le primitive strutture risultano ‹‹ridotte al di sotto dei piani di frequentazione e di calpestio del nuovo castello›› . Proprio ai Normanni si deve, dunque, l’impianto complessivo del castello di Lagopesole: un primo recinto fortificato, al quale si accedeva mediante un ingresso situato presso l’odierna torre nord-est, fu in seguito ampliato con la costruzione del muro sud. Si creò, così, un cortile più piccolo diviso dal maggiore dal suddetto muro, a ridosso del quale sorsero ambienti abitativi.
Lagopesole torna ad essere menzionata dalle fonti nel 1132, anno in cui prese vigore la ribellione dei baroni meridionali - capeggiati fieramente dal conte di Conversano, signore di Lagopesole - verso il re Ruggero II, a cui seguì un “planetario” conflitto di ordine religioso.

Alla morte del papa Onorio II, infatti, vennero eletti contemporaneamente Innocenzo e Anacleto, sostenuti il primo dalle più illustri famiglie longobarde e greche, il secondo da Ruggero e dai monaci cassinesi. Per dirimere la spinosa questione Innocenzo persuase l’imperatore Lotario a varcare le Alpi e a seguirlo, nel 1137, in Puglia. Nella stessa estate le legazioni imperiale e pontificia si inoltrarono fino a Melfi e, successivamente, a Lagopesole dove ebbe luogo la risoluzione del conflitto. Imperatore e pontefice - scrive Falcone Beneventano - si portarono nel territorio di Lagopesole e ivi dimorarono per circa un mese. Non il castrum, che allora doveva essere ancora nel pieno del suo ampliamento, bensì l’aperta campagna accolse gli accampamenti delle due massime autorità della terra.

A metà del secolo XII, verosimilmente, i lavori di ricostruzione del fortilizio normanno erano ultimati ed esso figurava degno di ospitare personaggi di alto rango, come prova il rinvenimento di ceramica da fuoco e da mensa, unitamente a pedine in osso lavorato ascrivibili a tale arco temporale. Parallelamente, anche l’insediamento antropico sito nelle vicinanze del castrum cresceva. La bolla di papa Eugenio III del 1152 menziona, infatti, in Lagopesole ben due casali: il casale Sancti Laurentii e il casale Sancte Marie in Agiis. Il Catalogo dei baroni normanni, compilato tra il 1154 e il 1179, acclara in seguito che il possedimento si presentava distinto in tre feudi, tutti abitati: Lagopesole, Agromonte e Montemarcone. La bolla di Alessandro III del 1175 ricorda, inoltre, che in territorio di Lagopesole era ubicata una chiesa dedicata a Santa Cristina ricadente, con le sue pertinenze, sotto la giurisdizione della badia di Monticchio.

Da questo momento il silenzio delle fonti avvolge Lagopesole per quasi mezzo secolo.

È l’aurora sveva del 1223 a destare dal sonno degli anni questi splendidi luoghi, allorquando Federico II, novello imperatore in San Pietro il 22 novembre 1220, vi si fermò per ammirarne le amene distese boschive, variamente popolate di copiosa selvaggina. Si narra che dal 1223 l’imperatore ‹‹preferì passare la stagione calda apud Melfiam o in civitate Melfie›› ed ‹‹è facile supporre, che ogni anno abbia cavalcato fino a Lagopesole, riposando nella dolce, amica aura degli elci e de’ roveri secolari›› . Erano quelli gli anni in cui prendevano corpo il De arte venandi cum avibus e l’istituzione del “Parco delle uccellagioni” sui territori di Melfi e Lagopesole. Il tenimento di Lagopesole avrebbe ospitato, in particolare, tre delle nove domus solaciorum elette nel nord della Basilicata alle esigenze della sua permanenza in loco: Agromonte, Montemarcone e, mirabile tra tutte, Lagopesole.

Pare certo - prova l’esame delle strutture murarie - che pur avendo ordinato la demolizione dell’antico fortilizio normanno e l’edificazione di una domus destinata ad imperialibus solaciis, Federico II non ricostruì ex novo la domus di Lagopesole. Gli architetti di corte apportarono solo talune modifiche all’antico corpo di fabbrica approntando una sala per l’ascolto della musica nell’ala nord, dei camini e una sala nell’ala ovest. Ex novo fu, invece, edificato il donjon all’interno del cortile minore. Una cava realizzata nello stesso cortile ne fornì il pietrame necessario: estremo baluardo ‹‹di difesa in caso di attacco››, tuttavia incompleta stante la sua esigua altezza, la torre accoglieva al primo livello una capiente cisterna e al superiore una sala a pianta quadrata raggiungibile esclusivamente dall’esterno mediante una scala retrattile. Due protomi umane - una testa femminile dai capelli ondulati e una testa maschile dalle orecchie ferine, pregevoli esempi della scultura di epoca federiciana - fanno bella mostra sulla ogivale porta di accesso.

La medesima cava ha restituito, in fase di ricerca, una pregevole scultura databile alla fine del III secolo d. C. raffigurante un ‹‹leone imbrigliato nell’atto di azzannare un’antilope››. Il ‹‹prezioso reperto››, che avrebbe dovuto trovare impiego nella decorazione di un portale o di un seggio, si somma a numerosi altri esemplari che Federico II amò collezionare e ostentare nelle sue residenze, a riprova di una precisa volontà di recupero dell’antico mondo imperiale occidentale anche attraverso la riproposizione dei suoi modelli culturali.

La domus di Lagopesole - a cui era collegata una masseria regia deputata alla produzione e alla commercializzazione dei prodotti agricoli, nonché al sostentamento della corte durante i soggiorni estivi - ricoprì da subito una vitale funzione di controllo e di gestione dell’annesso tenimento feudale. Al mantenimento della struttura - si sottolinea nello Statutum de reparatione castrorum del 1239 - dovevano provvedere gli abitanti di cinque remoti insediamenti: Castel Glorioso, Vignola, Castelluccio, Baragiano e Santa Sofia. Tutto ciò, insieme ai boschi lussureggianti, alternati a vallate coltivate a grano, e alle copiose risorse idriche - prima fra tutte il delizioso laghetto naturale sito a circa un miglio ad oriente del castello - fece di Lagopesole una magnifica dimora estiva.

Da un punto di vista strettamente architettonico le domus di epoca federiciana non figurano molto differenti dai coevi castelli, mancando tuttavia - è proprio il caso di Lagopesole - di taluni elementi tipici delle strutture di difesa quali caditoie, balestriere e saettiere. Un rigore, una perfetta geometria animano gli elementi costruttivi dell’intero edificio: splendidi esempi ne sono il portale d’ingresso alla domus e lo stesso portale d’ingresso alla cappella. Non vi è nella domus di Lagopesole altro luogo sì enigmatico e affascinante quanto la cappella palaziale: tanto studiata, variamente decantata e datata - normanna per taluni, protosveva per altri - resta ancora ignota nella sua interezza. Enigmatico resta soprattutto il frammento di affresco absidale raffigurante un crociato in preghiera dinanzi alla croce dipinta su uno scudo, alle cui spalle si erge una figura femminile. Come enigmatico e controverso fu, del resto, il rapporto di Federico II con la Chiesa del suo tempo, al punto di fargli guadagnare l’appellativo magnanimo di “vicario di Dio” da parte dei suoi sostenitori, quello terribile e antitetico di “anticristo” da parte della propaganda avversa.

L’imperatore - ricordano le fonti - trascorse a Lagopesole l’estate del 1242. Usciva dal castello di Melfi il sontuoso corteo imperiale, in quel giorno d’agosto. Attraversate Rapolla, Barile e Rionero la carovana giunse a lambire Agromonte: da qui, dopo lungo cammino, l’amata domus di Lagopesole si era fatta più vicina. Una fila ordinata di uomini e bestie da soma sorreggeva ‹‹il bagaglio della persona e della casa del re››, ‹‹le carte della cancelleria e i libri di Aristotele e di Avicenna››, ‹‹i tesori della Corona››, ‹‹i veltri delle mute e le fiere del serraglio››. Viaggiavano, tra gli altri, al seguito dell’imperatore Pier delle Vigne, ‹‹logoteta e protonotario del Regno››, medici, fisici, astrologi e negromanti, ‹‹il figlio del nuovo signore di Vitalba, Riccardo Filangeri, falconiere di Corte [...] e Adenolfo Pardo, capocaccia imperiale››. E ancora, gli erano accanto il giovane virgulto Manfredi, dono d’amore dell’adorata sposa Bianca Lancia, l’harem, ‹‹i fidi saraceni di Lucera, i biondi cavalieri germanici›› e ‹‹i leggeri fanti di Puglia ›› .

Varcando l’ingresso dalle torri binate il multiforme corteo inondò festante il cortile maggiore: la domus ancora incompiuta accolse il suo re. E il calar della sera avvolgeva il cerimoniale di rito, un lauto banchetto, danze festose, ore felici. L’imperatore tornò di certo a Lagopesole nell’estate del 1250, in luglio e in settembre, le spalle oberate dal peso della nuova scomunica ricevuta al Concilio di Lione nel 1245, della grave disfatta militare subita nei pressi di Parma nel 1248, dell’imprigionamento del figlio Enzo a Bologna nell’anno successivo.

I tempi erano compiuti: il sogno ghibellino volgeva ormai al tramonto. Era il settembre 1250, vicina la partenza per la Puglia. Dagli appartamenti imperiali Federico, pensoso e stanco, forse, guardò sovente all’amato bosco di Montecaruso, vagheggiando venture giornate di caccia e di diletto. Ignaro o presago, chissà, che quella sarebbe stata davvero la sua ultima estate.

Dopo il mito svevo, Lagopesole conobbe i fasti della corte angioina, le alterne fortune dei Caracciolo di Melfi, la lunga infeudazione ai Doria di Genova.

Araldica

\"\"   \"\"   Hohenstaufen

 

Gli Hohenstaufen (o anche Staufer o Staufi o Staufen) furono una famiglia nobile originaria della Svevia.

La vicenda politica del casato Hohenstaufen inizia nel 1105 con il conferimento a Federico il Vecchio del titolo di duca di Svevia. Nel 1138 il figlio Corrado è eletto imperatore del Sacro Romano Impero dalla dieta di Coblenza.

Il casato manterrà il titolo imperiale con Corrado III (1138-1152), Federico I Barbarossa (1155-1190), Enrico VI (1191-1197), Federico II (1220-1250) e Corrado IV (1250-1254). Gli ultimi tre furono anche re di Sicilia.

La casa degli Hohenstaufen si estinse con Manfredi e Corradino di Svevia, autori di due tentativi falliti di riconquistare il trono imperiale nel 1266 e 1268. Ad oggi, per via femminile, tutte le maggiori dinastie europee discendono da essa.

Fu Federico I a utilizzare in araldica l\'aquila imperiale, un simbolo già associato all\'Impero Romano Germanico. Solo a partire dal XIII secolo furono codificate le regole dell\'araldica e iniziò l\'usanza di sovrapporre lo stemma della casata all\'aquila nera imperiale.

Lo stemma della Casata di Svevia era "d\'oro ai tre leoni neri passanti disposti in palo", il ramo di Sicilia adottò una versione modificata dell\'aquila imperiale, sostituendo il campo d\'oro con uno d\'argento (d\'argento all\'aquila di nero imbeccata, lampassata e membrata di rosso).

Bibliografia

Fortunato G., Il castello di Lagopesole, V. Vecchi Tipografo-Editore, Trani 1902;

Giovannucci A., Peduto P., a cura di, Il Castello di Lagopesole. Da castrum a dimora reale, Tipolitografia Incisivo, Salerno 2000;

Licinio R., Federico II e gli impianti castellari, in AA. VV., Federico II e l’Italia, Edizioni De Luca, Roma 1995;

Miglio M., Progetti di supremazia universalistica, in AA. VV., Storia medioevale, Donzelli editore, Roma 1998.

 

Indirizzo: Piazza Federico II

Facilities

  • Museo
  • Toilets
  • Panorama
  • Feste medievali
  • Esibizione arceri

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