Castello Di Montechiarugolo

Castello Emilia Romagna, Parma - Montechiarugolo

Epoca
XIII Secolo
Visitabile
Si, pagamento
Proprietà
Privata

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Descrizione

Il castello di Montechiarugolo si erge sulla riva sinistra del torrente Enza, nella strategica posizione di confine tra il parmense ed il reggiano e poggia le fondamenta su un terrazzo naturale da cui deriva il toponimo del suo nome Monticulus Rivoli.

In contrasto con le severe mura esterne, varcata la soglia delle sale di rappresentanza, ci si trova immersi in un delicato mondo rinascimentale.

L’impronta gentilizia di questi saloni si deve soprattutto alla volontà di Pomponio Torelli (1539-1608); raffinato umanista, colto letterato, amante della poesia e della pittura, fu senz’altro il principale ispiratore dei cicli pittorici contenuti nel castello.

Il Salone delle feste

Dalla corte interna del castello si entra nel vasto salone rettangolare, detto delle feste, coperto da alte volte a crociera con il biscione visconteo a rilievo in chiave di volta. Sui lunettoni e sulle volte delle pareti del lato settentrionale si sviluppa un ciclo di affreschi a grottesche e girali vegetali, inquadranti nelle vele cartigli con monocromi che raffigurano esili e allungate figure femminili distese. Nei lunettoni sono anche tre grandi stemmi, quello di Papa Pio V, prozio di Isabella Monelli, moglie di Pomponio Torelli, quello del Cardinale Agostino Trivulzio e quello del Cardinale Michele Monelli, anch’essi imparentati con la casata dei Torelli.

La decorazione, tipicamente tardo cinquecentesca nel repertorio ornamentale e nell’impaginazione è senz’altro databile alla seconda metà del XVI secolo. Tutto il ciclo decorativo è stato realizzato dalla scuola del Baglione.

La Camera Antica

Si tratta senz’altro della più significativa testimonianza della colta commissione pittorica voluta da Pomponio Torelli: sulla volta e sui lunettoni si svolge uno splendido ciclo pittorico, molto ricco sia dal punto formale che iconografico.

Otto grandi figure allegoriche di ampio impatto pittorico spiccano tra la volta a crociera e le quattro vele laterali.Attorno a queste si dispongono contorti putti monocromi, mentre grandi figure di angeli cariatidi, ancora a monocromo, si addossano ai costoloni.

Il significato delle immagini, così come l’autore, stanno ancora oggi interessando esperti e studiosi e le ipotesi di attribuzione sono aperte.

Proprio recentemente è stato pubblicato per le edizioni MUP di Parma, Il Castello di Montechiarugolo ...fortissima e inespugnabile fabrica, 2006, ad opera delle studiose Rossella Cattani e Stefania Colla, con una puntuale ricostruzione storica e artistica delle vicende del castello che rivela un’interessante attribuzione degli affreschi della Camera Antica alla complessa figura di Cesare Baglione.

La Sala dei Quattro Elementi o delle Sirene

In questa sala sono conservate quattro grandi tele a tempera eseguite da Domenico Muzzi nella seconda metà del Settecento e raffiguranti L’Acqua, l’Aria, la Terra e il Fuoco.

Questo pittore, già professore nella rinomata Accademia di Parma, fu nel Settecento attivo presso la corte di Filippo di Borbone. Le tele provengono infatti dalla Reggia di Colorno e furono acquistate alla fine dell’Ottocento da Antonio Marchi antenato degli attuali proprietari, così come il raro modellino ligneo raffigurante un tempietto d’arcadia da attribuire a Ennemond-Alexandre Petitot, realizzato nel 1769 in legno dipinto e metallo.

Sul lato orientale della parete è interessante notare il frammento del ciclo pittorico cinquecentesco originale della sala raffigurante una nave. Si pensa, visto che da un antico inventario questa sala viene identificata come “Camarono delle serene e del galeone”, che l’immagine sia da riferirsi all’episodio omerico di Ulisse e le sirene.

La Camera di mezzo

L’affresco visibile in quella che gli antichi inventari definiscono come la camera di meggio, è forse il capolavoro pittorico del castello. Nella profonda strombatura della finestra aperta sul loggiato sono dipinte le figure dell’Arcangelo Gabriele a sinistra e della Vergine a destra.

Si tratta di immagini di altissima raffinatezza esecutiva che inseriscono a pieno titolo l’affresco di Montechiarugolo, nella schiera periferica del tardo gotico lombardo ad opera di un abile seguace di Michelino da Besozzo.

Il loggiato

Accessibile da tutte le quattro grandi sale disposte lungo il lato orientale del castello, l’incantevole loggia affrescata esisteva probabilmente già ai tempi di Guido Torelli.

Oltre a una magnifica vista sul parco dell’Enza, vi si può ammirare un vivace ciclo decorativo di fattura quattrocentesca, magistralmente restaurato.

La loggia è sostenuta da robusti beccatelli in pietra ed è coperta da un tetto ad una falda con soffitto a travetti lignei decorati che poggia su delicate colonnine in arenaria.

Le iscrizioni

La parete della loggia è decorata con motivi a losanghe entro cui serpeggia il biscione visconteo. Il recente restauro oltre a riportare a nuova vita, attraverso un abile operazione di pulitura, i vivaci colori quattrocenteschi, ha reso possibile rileggere ampie parti di un vero e proprio diario storico degli avvenimenti avvenuti in loco.

Queste iscrizioni offrono un suggestivo panorama attraverso i secoli della vita alla corte dei Torelli. Si legge per esempio che il 10 ottobre del 1491 Barbara Torelli partì da Montechiarugolo alla volta di Pisa per andare in sposa ad Ercole Bentivoglio. L’evento poterebbe far pensare all’inizio di una vita felice, ma la sorte le fu avversa. Si separò dal marito ed alla morte di questi si unì in matrimonio ad Ercole Strozzi, stimato poeta della corte ferrarese. Tredici giorni dopo il loro matrimonio Ercole fu inspiegabilmente ucciso. Profondamente colpita, sfogò la sua tristezza in un sonetto ritenuto tra i più belli del Rinascimento italiano.

Molto suggestiva è anche l’iscrizione che testimonia il passaggio nel 1594 del Duca Ranuccio Farnese “alla caccia del cinghiale nei boschi di Motechiarugolo”. Di lì a poco il duca di Parma avrebbe accusato Pio Torelli, figlio del suo precettore Pomponio, di aver congiurato contro di lui condannandolo a morte (1612).

I Camminamenti

Molto suggestivi e ben conservati, anche se per il momento ancora preclusi al pubblico, sono i camminamenti di ronda coperti.

Percorrere la ronda del castello rende possibile comprendere lo sviluppo del ‘mestiere delle armi’ nel corso dei secoli. La rocca era ritenuta inespugnabile grazie alla presenza di una prima cinta di mura, con baluardi angolari, situata attorno al paese, a un secondo sbarramento in corrispondenza degli accessi all’area esterna del castello(dove si rifugiavano i cittadini in caso di pericolo) ed alle mura della rocca stessa, coronate dai tipici merli Ghibellini, corredate di beccatelli con caditoie, arciere e archibugiere.

Già nella seconda metà del XV secolo, in seguito all’avvento dell’artiglieria, furono apportate alcune trasformazioni strettamente legate ai sistemi di difesa, quali l’introduzione delle cannoniere ad ampia svasatura nei rivellini e nei baluardi, a protezione dei ponti levatoi. Sono forse riconducibili a questo periodo anche le feritoie tonde, realizzate con mattoni sagomati, che si trovano in alcune parti del coronamento a livello delle merlature, che servivano a posizionare sugli spalti le piccole artiglierie.

Il Cortile d’Onore

Il cortile centrale, al quale si accede tramite un ponte in muratura che ha sostituito il ponte levatoio, è caratterizzato da un porticato con colonne in cotto poligonali e capitelli a foglia di loto.

Qui il ricordo degli assalti convive con quello della raffinata vita di corte come testimoniano da un lato le antiche palle di cannone rinvenute nel fossato e dall’altro le due eleganti statue settecentesche provenienti da Colorno.

Dal cortile, che doveva servire in origine per la raccolta e il movimento dei soldati, si accede al piccolo cortile del pozzo e alla torre quadrata. Quest’ultima, situata sul lato occidentale del cortile, è orientata secondo i punti cardinali a controllare la strada di accesso al borgo.

Il Castellazzo

Nel cortile centrale si accede dal lato nord al Castellazzo, ampio giardino, collegato tramite un piccolo ponte in cotto, costruito in sostituzione all’originale levatoio.

Si tratta di un luogo suggestivo e raccolto, dove nei mesi primaverili si possono ammirare delle splendide fioriture di rose e peonie. Dall’alto del bastione, antica postazione di avvistamento sul lato settentrionale del Castellazzo, la vista abbraccia il sottostante Parco del torrente Enza, confine naturale tra il parmense e il reggiano.

La Rocca è disponibile per matrimoni, banchetti, convegni e servizi fotografici.

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Storia

Nato come un avamposto militare della famiglia Sanvitale il feudo di Motechiarugolo fa risalire le sue origini all’inizio del XIV secolo. Le fonti documentarie certificano che nel 1313 Giovannino Sanvitale, insieme ad altri feudatari, si ribella alla guelfa signoria di Parma, passando a sostenere la fazione ghibellina.

 

E’ così che una sostanziosa armata capeggiata da Gilberto da Correggio, signore di Parma, si mette in marcia alla volta di Montechiarugolo, ponendo l’assedio e conquistando il fortilizio.

Finita la signoria dei da Correggio a Parma arrivano i Rossi che la consegnano al papato.

Dopo alterne vicende nel 1348 la città di Parma viene a cadere sotto l’influenza dei Visconti di Milano, le sorti si legano così al casato visconteo per circa duecento anni. Nel 1371 sono gli stessi Visconti che alla ricerca di un avamposto militare verso Reggio arrivano a Montechiarugolo. Il Duca di Milano Gian Maria Visconti, per suggerimento di Ottobono Terzi capitano dell’esercito milanese, dona il feudo di Montechiarugolo insieme a quello di Guastalla a Guido Torelli, uno dei migliori condottieri dell’armata viscontea.

La considerazione goduta dal Torelli presso la corte milanese è altresì certificata dal suo matrimonio con Orsina Visconti, cugina dei duchi lombardi.

L’atto di infeudazione data al 3 ottobre 1406 e proprio a Guido, primo vero signore di Motechiarugolo, si deve la trasformazione della fortezza trecentesca in quella che lo storico cinquecentesco Bonaventura Angeli definisce come “una rocca per quei tempi reputata fortissima e inespugnabile fabbrica”.

I successori di Guido Torelli

Alla morte di Guido Torelli nel 1449 i figli Cristoforo e Pietro Guido si spartiscono i territori paterni e da questo momento in poi si separa per sempre il destino del feudo di Montechiarugolo, acquisito da Cristoforo da quello di Guastalla rimasto al fratello Pietro Guido.
I figli di Cristoforo sono tutti uomini d’arme e tra di essi si distingue soprattutto Marsilio che ha con Milano un rapporto continuo e privilegiato: attestato anche dal matrimonio del figlio di Marsilio, Francesco, con Damigella Trivulzio.
Nel conflitto che dal 1499 vede contrapposti Luigi II di Francia e Ludovico il Moro il feudo di Montechiarugolo per tradizione legato alla dinastia milanese subisce quello che può essere definito il suo maggiore assedio. Il 1° giugno del 1500 il castello fu rovinosamente bombardato e saccheggiato e così pure il borgo.
Nel 1512 Parma passa definitivamente sotto l’influenza del Papato e Paolo III, Alessandro Farnese, crea per il figlio Pier Luigi il Ducato di Parma e Piacenza.

Pomponio Torelli

Nel 1539 nasce da Adriano e Beatrice, figlia di Pico della Mirandola, Pomponio Torelli che a differenza degli antenati non sarà un uomo d’armi, ma si dedicherà con passione agli studi umanistici, anche grazie all’influenza della colta madre. Diventa infatti presto uno stimato letterato e scrive tragedie di matrice classica (La Merope, Il Tancredi, La Galatea, La Vittoria e Il Polidoro), poesie e rime amorose. Nel 1583 assume il ruolo di precettore di Ranuccio, figlio di Alessandro Farnese e questo naturalmente aumenta la considerazione della famiglia Torelli presso la corte ducale. Gli anni della signoria di Pomponio sono quelli che maggiormente caratterizzano il l’aspetto attuale del castello nel suo impianto decorativo e di residenza gentilizia.

La “congiura dei feudatari” e la fine della signoria dei Torelli

Nel 1608 muore Pomponio e dopo pochi anni ha termine anche la signoria dei Torelli su Montechiarugolo, ne è causa quella che va sotto il nome di “congiura dei feudatari”. Già dal 1606 il duca di Parma Ranuccio aveva privato la nobiltà parmigiana di alcuni importanti privilegi, ma nella primavera del 1611 si scatena una vera e propria caccia alle streghe che coinvolge tutti i più importanti feudatari della provincia di Parma. L’ipotesi della congiura si basa su una testimonianza estorta con la tortura a un servitore di Alfonso Sanvitale, signore di Fontanellato,che ammette una presunta congiura ai danni del duca da parte dei feudatari del contado.
Le indagini portano all’arresto di altri Sanvitale e vari nobili, fra i quali Barbara Sanseverino e il marito Orazio Simonetta, e anche Pio Torelli, figlio di Pomponio, che tanta considerazione aveva avuto presso la corte ducale. Sottomessi a crudeli torture i prigionieri ammettono la colpa: si erano accordati per uccidere il duca e la sua famiglia durante una funzione religiosa o mentre i signori erano in vacanza fuori città. Dagli atti stessi c’è da farsi l’opinione che si trattasse di una montatura, ben orchestrata se non proprio inventata da Ranuccio Farnese, per mettere le mani sui feudi degli incriminati. Il 4 maggio 1612 il giudice Filiberto Piosasco, severissimo inquisitore della causa, pronuncia la sentenza di colpevolezza per tutti gli imputati, colpevoli di lesa maestà, quindi condannati alla confisca dei beni, e a essere decapitati e appesi squartati. Il duca conferma la sentenza di morte.
Decapitato il conte Pio Torelli il castello è espropriato e affidato a un presidio militare.

Da fortezza a dimora privata

Le successive vicende del castello si legano a quelle del ducato farnesiano: estintasi la dinastia Farnese con l’ultimo discendente maschio Antonio, l’eredità spetta a Don Carlo di Borbone, primogenito di Elisabetta Farnese e di Filippo V di Spagna.
In questo periodo vi è un importante cambiamento nella destinazione d’uso del complesso che purtroppo avrà amare conseguenze sia per l’aspetto architettonico che decorativo del castello. All’interno dell’imponente edificio viene collocata la fabbrica delle polveri ardenti, cioè un deposito per la lavorazione di zolfo, carbone e salnitro destinati alla produzione di polvere pirica; un utilizzo delle sale del castello che per esempio è alla base del degrado di parte dell’impianto decorativo del salone delle feste.
Con l’annessione del Ducato di Parma al nuovo Regno d’Italia, il castello di Montechiarugolo diventa proprietà dello stato che lo mette in vendita e nel 1864 viene acquistato da Antonio Marchi. La famiglia Marchi è ancora oggi proprietaria del castello.

La Fata Bema

Il dramma della fata Bema, raccontato anche nel romanzo di Alfonso Cavagnari, La Fata Bema, recentemente ristampato dal comune di Montechiarugolo, narra una vicenda a metà strada tra fantasia e realtà e di cui ancor oggi in paese si discute come di fatti realmente accaduti. La vicenda si riferisce a Bema, giovane fanciulla, nata verso la fine del Cinquecento, buona, bellissima e dotata di poteri magici. Bema giunge a Montechiarugolo in una giornata di maggio del 1593 e presso il castello, nei cui boschi spesso Ranuccio Farnese duca di Parma veniva a caccia di cinghiali, la giovane allestisce un piccolo palco per la predizione del futuro al quale si avvicinano gli ospiti del maniero. Tra essi si trova anche il Farnese, noto per il carattere cupo e superstizioso, subito viene attratto dai poteri della giovane. Dopo un primo momento in cui Bema riceve l’appoggio del Duca attraverso un salvacondotto per circolare liberamente nel territorio farnesiano, Ranuccio, vinto dal timore di essere ammaliato e manipolato, decide di liberarsi dell’indovina facendola rinchiudere nella prigione della Rocchetta. Una lunga e dura prigionia attende la fata che allo stremo delle forze viene però liberata a furor di popolo. Rientrata a Montechiarugolo la Bema è assunta presso la corte dei Torelli per la gestione domestica. La fanciulla e Pio Torelli, figlio dell’illuminato Pomponio e di Isabella Bonelli, finiscono per innamorarsi. Ma sapendolo un amore impossibile Bema non asseconda il cuore, e rifiuta Pio che viene mandato dal padre a terminare la sua formazione presso la corte di Parma. Sono i momenti della presunta congiura contro Ranuccio Farnese, il quale temendo la potenza dei numerosi e potenti feudatari del ducato inscena una congiura contro la sua persona, e attraverso un crudele e durissimo uso della tortura riesce ad estorcere numerose confessioni.
IL 19 maggio 1612, gli arrestati, compreso Pio Torelli vengono decapitati davanti al palazzo di Giustizia di Parma, in piazza Grande, e le loro teste mozzate e conficcate su spunzoni a monito della città. Il castello di Motechiarugolo è occupato da una guarnigione ducale e Bema, disperata per la morte di Pio, si rifugia in una piccola casa nei pressi del castello, occupandosi di dare aiuto a poveri e bisognosi.
Questa è dunque la storia della buona e bella fata Bema che, dalla morte ad oggi, torna a manifestarsi nel castello il 19 maggio di ogni anno per piangere il suo amore perduto così tragicamente.

 

Indirizzo: Via Roma, 2

Facilities

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