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Descrizione
Il Castel Sant'Angelo (o “Mole Adrianorum”, o anche “Castellum Crescentizi” nel X-XII sec.), detto anche Mausoleo di Adriano, è una Rocca di Roma, collegata allo Stato del Vaticano da un passaggio segreto sotterraneo. Questo Castello ha un destino atipico nel panorama storico-artistico della capitale: mentre tutti gli altri monumenti di epoca romana vengono travolti, ridotti a rovine o a cave di materiali di spoglio da riciclare in nuovi e moderni edifici, il Castello - attraverso una serie ininterrotta di sviluppi e trasformazioni, che sembrano scivolare l'una nell'altra senza soluzione di continuità - accompagna per quasi duemila anni le sorti e la storia della stressa città di Roma. Da monumento funerario ad avamposto fortificato, da oscuro e terribile carcere a splendida dimora rinascimentale, da prigione risorgimentale a museo, Castel Sant'Angelo incarna nei solenni spazi romani, nelle possenti mura, nelle fastose sale affrescate, le vicende della Città Eterna dove passato e presente appaiono indissolubilmente legati.
Il Castello, situato sulla sponda destra del Tevere, di fronte all’originario “pons Aelius” (attuale ponte Sant'Angelo) a poca distanza del Vaticano, nel rione di Borgo, venne costruito di fronte al Campo Marzio. In origine, era composto da una base cubica, rivestita in marmo lunense, caratterizzata da un fregio decorativo a teste di buoi (Bucrani) e lesene angolari. Nel fregio prospiciente il fiume si leggevano i nomi degli imperatori sepolti all'interno. Sempre su questo lato si presentava l'arco d'ingresso intitolato ad Adriano, il “dromos” (ovvero il passaggio d'accesso, vedi Planimetria I° livello, 1.4) che era interamente rivestito di marmo giallo antico. Al di sopra del cubo di base era posato un tamburo realizzato in peperino e in opera cementizia (“opus caementicium”), tutto rivestito di travertino e lesene scanalate. Al di sopra di esso vi era un tumulo di terra alberato circondato da statue marmoree (oggi ce ne restano solo frammenti). Il tumulo era, infine, sormontato da una quadriga in bronzo guidata dall'imperatore Adriano raffigurato come il sole posto su un alto basamento o, secondo altri, su una “tholos” circolare. Attorno al mausoleo correva un muro di cinta con cancellata in bronzo decorata da pavoni. Due di essi sono oggi conservati al Vaticano. All'interno del Castello, pozzi di luce illuminavano la scala elicoidale in laterizio rivestita in marmo che collegava il dromos alla cella posta al centro del tumulo. Quest'ultima, quadrata e interamente rivestita di marmi policromi, era sormontata da altre due sale, forse anche esse utilizzate come celle sepolcrali. Nel 403 l'imperatore d'Occidente Onorio incluse l'edificio nelle Mura aureliane: da quel momento il Castello perse la sua funzione originaria di sepolcro e diventò un fortilizio, baluardo avanzato oltre il fiume Tevere a difesa di Roma. Fu allora che il mausoleo venne indicato per la prima volta in assoluto proprio con l'appellativo di “castellum”.
In epoca medievale, specificamente nel 1379, il Castello venne quasi ridotto al suolo dalla popolazione inferocita contro la guarnigione francese, lasciata a presidio del Castello da Urbano V. A dare inizio alla necessaria ricostruzione fu nel 1395 papa Bonifacio IX, che incaricò l’architetto militare Niccolò Lamberti di eseguire una serie di interventi di potenziamento della struttura difensiva del Castello. L’ingresso al Castello diventò allora possibile solamente attraverso un’unica rampa di accesso e un ponte levatoio. Il corridoio anulare cui si accede varcato il portone d'ingresso e compreso entro la cinta muraria quadrangolare del castello, fu ricavato scoperchiando il basamento quadrato della costruzione adrianea, al fine di isolare il grande cilindro per adattarlo alle nuove esigenze difensive (vedi planimetria, I° livello, 1.1). Nei quattro secoli successivi si susseguono svariati interventi e trasformazioni: Nicolò V (1447-1455) dotò il Castello di una residenza papale – la prima all'interno dell'edificio – e realizzò tre bastioni agli angoli del quadrilatero esterno. Inoltre provvide al rifacimento del Ponte Sant’Angelo, crollato in occasione della manifestazioni giubilari. Le nuove costruzioni, sorte al livello superiore del cilindro, divisero quest'area in due corti semicircolari che avevano funzioni diverse: quella Ovest (nota come Cortile dell'Angelo, vedi Planimetria IV° livello, 4.1) di piazza d'armi; quella Est – il cosiddetto Cortile di Alessandro VI – di affaccio per gli ambienti di servizio. La cinta esterna fu rafforzata ed ebbe inizio la costruzione dei quattro bastioni angolari (Planimetria II° livello, 2.3 - 2.4 - 2.6 - 2.7). Alessandro VI Borgia (1492-1503) promosse nuovi lavori, attestati dal grande stemma marmoreo sorretto da due vittorie e dall'epigrafe datata 1495, tuttora affissi sulla fronte della Mole verso la città ed il Tevere. Risale a questo periodo la decorazione, a cornici bianche e beccatelli in mattone su mensoloni, tradizionalmente riferita ad Antonio da Sangallo il Vecchio, che rifinisce e unifica la superficie del tamburo e della cinta esterna. Fu inoltre ristrutturato il Passetto di Borgo (vedi Planimetria II° livello, 2.5) ed edificati sia un possente bastione cilindrico, poi demolito nel corso del XVII secolo, proprio di fronte Ponte Sant'Angelo, sia un'ala residenziale, addossata al Bastione San Giovanni (Planimetria II° livello, 2.7) e decorata dal Pinturicchio. Fu allora commissionata anche la costruzione delle Prigioni storiche (vedi Planimetria III° livello, 3.1), delle oliare (3.2) e dei silos. In seguito ai lavori commissionati da Alessandro VI Borgia il Castello assunse il carattere di vera e propria roccaforte militare: furono infatti costruiti inoltre quattro torrioni dedicati ai santi Evangelisti, che inglobarono le precedenti strutture realizzate sotto Niccolò V. Per garantire un maggiore controllo sulle vie di accesso al Castello, papa Alessandro VI fece inoltre innalzare un ulteriore torrione cilindrico all'imboccatura del Ponte e attorno alle mura fece scavare un fossato riempito con le acque del Tevere. Ma i lavori voluti da Alessandro VI non furono diretti solo al potenziamento della struttura difensiva dell’edificio: questo papa volle dotare il Castello di un nuovo appartamento, che fece affrescare dal Pinturicchio e aggiunse giardini e fontane. Nel corso del suo pontificato Alessandro trasformò la Rocca, nella quale egli amava risiedere, in una sontuosa reggia dove organizzava banchetti, feste e spettacoli teatrali. Le opere di fortificazione di Alessandro VI permisero a papa Clemente VII, 32 anni dopo, di resistere sette mesi all'assedio delle truppe di Carlo V (i famosi Lanzichenecchi) che il 6 maggio 1527 diedero inizio al sacco di Roma.
La residenza pontificia fu messa ulteriormente a punto da Giulio II della Rovere (1508-1512) che per la creazione della loggia verso il fiume (Planimetria V° livello, 5.1) e della cosiddetta Stufetta (vedi Planimetria, IV° livello, 4.9), poi decorata all'antica da Giovanni da Udine al tempo di Clemente VII Medici (1523-1534), si avvalse della collaborazione di Giuliano da Sangallo e di Bramante. La “Stufa”, come allora veniva chiamato il bagno privato, consisteva in una piccola stanza affrescata con ornamenti profani: delfini, conchiglie, ninfe, amorini, personaggi mitologici, ancora oggi visitabile. Nella stanza si trovava anche una vasca nella quale l’acqua veniva versata da una bronzea Venere nuda, poi andata perduta. In periodo mediceo gli appartamenti, che accolsero la corte papale in occasione del Sacco di Roma del 1527, furono modificati e riqualificati con l'aggiunta della cappella di Leone X e dei due camerini privati di Clemente VII. Il sacco di Roma dimostrò l'utilità del Castello ai papi, che intrapresero grandiosi lavori di adattamento e vi installarono una vera e propria residenza papale. Nel 1542 Paolo III fece ristrutturare il Castello dagli architetti Raffaello Sinibaldi da Montelupo e Antonio da Sangallo il Giovane, dal 1520 architetto capo della fabbrica di San Pietro. La decorazione delle stanze viene affidata a Perino del Vaga e a Luzio Luzi da Todi, con la collaborazione anche di Livio Agresti da Forlì. I fasti delle dimore principesche rinascimentali trovano piena realizzazione proprio con il pontificato di Paolo III - uomo colto, amante delle lettere e delle arti. Tutti gli ambienti che compongono il sontuoso appartamento farnesiano - la Sala di Apollo (vedi Planimetria, IV° livello, 4.5), affacciata sul cortile dell'Angelo; la fastosa Sala Paolina (in Planimetria vedi livello V°, 5.5) che sfrutta la preesistente loggia di Giulio II garantendosi uno scenografico affaccio sulla città; la Sala di Amore e Psiche (vedi Planimetria, V° livello, 5.7); la Sala del Perseo (Planimetria V° livello, 5.6); la Biblioteca (Planimetria VI° livello, 6.2) con l'annesso Corridoio Pompeiano (vedi Planimetria, VI° livello, 6.1); la Sala dell'Adrianeo (in Planimetria VI° livello, 6.3); la Sala dei Festoni (6.4) e la Loggia di Paolo III - presentano una ricca decorazione volta all'esaltazione della figura del pontefice quale principe rinascimentale colto ed illuminato, restauratore degli antichi fasti di Roma sotto le insegne dell'apostolo Pietro.
A partire dalla seconda metà del '500, la Mole fu più volte adeguata alle sempre nuove esigenze militari. Un sistema difensivo ancora più articolato, incluso in un ampio recinto a stella e composto da cinte digradanti, fu progettato da Giulio Buratti all'epoca di Urbano VIII Barberini (1623-1644). Tra il 1667 e il 1669 fu Clemente IX a far collocare dieci angeli in marmo sul Ponte Elio: da allora anche il ponte viene chiamato Sant’Angelo. Tra la fine del Seicento e per tutto il Settecento, la funzione militare di Castel Sant'Angelo si ridusse a quella di un grande deposito di armi, munizioni e vettovaglie, pur tuttavia continuando a rappresentare la più valida difesa per il Vaticano e il Borgo. La fortezza aveva una guarnigione stabile di circa cinquecento uomini, quattro corpi di guardia, laboratori di ogni tipo per la vita del presidio, magazzini per fabbricare le polveri, otto polveriere, un’armeria (Planimetria V° livello, 5.8), una fonderia per cannoni, silos per il grano, mulini, un ospedale e tre cappelle. Una cella sotterranea era perfino destinata a magazzino per la neve, prezioso per la conservazione dei cibi durante la stagione calda. Tra i più significativi interventi settecenteschi, il restauro della Sala Paolina e la costruzione dell'Appartamento del castellano (Planimetria, VI° livello, 6.7). Nel 1734 fu inoltre realizzato il rudimentale ascensore in cui potevano prendere posto due persone, e che sfruttando per il suo movimento contrappesi di piombo, consentiva di salire dall'atrium romano (Planimetria I° livello, 1.5) sino alla Sala di Apollo. Nel 1752 l'angelo realizzato da Raffaello da Montelupo nel 1544 per decorare la sommità del monumento fu sostituito dalla scultura in bronzo presente ancora oggi, opera di Peter Anton Verschaffelt. In età napoleonica, con Roma occupata dall'esercito rivoluzionario, Pio VI Braschi (1775-1799) fu costretto a un mortificante esilio (1798) e la guarnigione di stanza a Castello alla resa. Le polveriere vennero consegnate, l’Archivio Segreto sigillato con lo stemma papale e lo stendardo pontificio sostituito con il tricolore francese. Perfino la statua bronzea dell’Angelo fu dipinta con i tre colori nazionali francesi: dichiarata “Genio della Francia liberatrice”, sulla sua testa le venne applicato un berretto frigio rosso scarlatto. Tutti gli stemmi papali ancorati sui muri della fortezza e dei bastioni, a ricordo dei lavori intrapresi nei secoli, vennero scalpellati.
Con il ritiro delle truppe francesi da Roma, nell’ottobre del 1799, sulla sommità del Forte fu collocata invece la bandiera del Regno di Napoli che vi rimase sino alla restituzione del Castello all'esercito di papa Pio VII (1800-1823). Nel lasciare Castel Sant’Angelo i soldati borbonici svuotarono i magazzini, prelevando artiglierie e munizioni, mobili e ogni oggetto di arredamento, asportando i vetri alle finestre, le porte e i tubi di piombo che portavano l’acqua, causando così danni ingenti. L’unica attività rimasta in uso fu quella di carcere di sicurezza e di acquartieramento per le truppe poste a difesa del forte. Le devastazioni subite motivarono rilevanti lavori di restauro. Nel 1822 la direzione delle opere fu affidata al maggiore del Genio pontificio Luigi Bavari, che promosse i primi sondaggi archeologici. Fattosi calare da una botola, Bavari scopriva l'esistenza della Rampa elicoidale (Planimetria II° livello, 2.9) e dell'atrium, che erano stati interrati alla fine del XIV secolo. Con l'eccezionale ritrovamento si assisteva ad un rinascere degli studi a carattere archeologico sull'antico monumento funerario, cui avrebbero fatto seguito tentativi di ricostruzione dell'originaria fisionomia del sepolcro. Si valutò inoltre l'opportunità di riaprire il grande ingresso romano, in relazione ai limiti di sicurezza che il Forte doveva rispettare. Fu scelto di liberare la cella sepolcrale romana (la Sala delle Urne) e di costruire un ponte levatoio in legno, che la attraversava, su disegno dell’architetto Giuseppe Valadier. Con l'annessione di Roma allo Stato italiano (1870), Castel Sant'Angelo perse la storica funzione di Fortezza posta a difesa della cittadella vaticana. Grandi interventi di restauro furono intrapresi alla fine del secolo. I lavori, avviati negli anni 1886-1887, si resero necessari per la costruzione dei nuovi argini del Tevere e furono affidati a due ufficiali del Genio Militare, Mariano Borgatti ed Enrico Rocchi. Si giunse così alla demolizione dei due bastioni anteriori appartenenti alla cinta pentagonale di Pio IV, della doppia cortina frontale e di quasi tutte le opere difensive erette durante il pontificato di Urbano VIII. Il fronte Sud di Castel Sant’Angelo riacquistò così l'aspetto che mostrava al tempo di Alessandro VI, liberando alla vista il tratto di cortina che l'architetto Antonio da Sangallo aveva edificato sui resti perimetrali dell’antico basamento quadrato della Mole Adriana.
I grandi lavori di trasformazione che interessarono Castel Sant’Angelo e l’area circostante sul finire del XIX secolo si prolungarono per tutto il primo Novecento, fino al 1911, anno in cui si tenne a Roma l'Esposizione Universale. Il colonnello Durand de la Penne e il capitano Borgatti, incoraggiati dalle scoperte archeologiche che stavano interessando la secolare costruzione, intrapresero ulteriori importanti lavori di restauro, tra cui le opere di sterro tra il corpo cilindrico e la cinta quadrata. Furono rinvenuti nel corso degli scavi frammenti di statue gigantesche, fregi, capitelli, cornicioni. Riemersero tra l'altro circa 350 palle di travertino e marmo, alcune di queste piccole e ben levigate ad uso dei cannoni, altre più grosse e rozze per le catapulte. Sino al 1906 l'accesso alla parte superiore del Castello era consentito solo attraverso il ponte levatoio che sormontava la Cordonata di Paolo III (vedi Planimetria II° livello, 2.1). L’anno seguente, il completamento dei lavori di sterro dell'atrium romano consentirono l’utilizzo di questo secondo percorso. La sistemazione delle opere murarie e il restauro della cinta quadrata e dei bastioni risultavano quasi completi, mentre a rilento procedeva il ripristino degli ambienti superiori, a cominciare dalle Sale di Clemente VIII (Planimetria IV° livello, 4.7), usate sino ai primi del secolo come dormitorio per le truppe. Tra il 1914 ed il 1915 andava a compimento il processo di smilitarizzazione del Castello, a mezzo della sua definitiva assegnazione al Ministero per la Pubblica Istruzione, mentre al Ministero della Guerra restava consegnata solamente l’area limitrofa. Durante il primo conflitto mondiale all’interno del forte furono ricoverate le opere d’arte provenienti dalle aree teatro delle operazioni belliche; tra queste, anche i cavalli bronzei della Basilica di San Marco a Venezia. Negli anni compresi tra le due guerre prevalse l'idea di isolare la maestosità del Castello all'interno dei giardini comunali, con il conseguente abbattimento di tutte le strutture cresciute in quest'area nel corso dei secoli e la distruzione di ulteriori documenti storici dell'articolata vicenda della fortezza. Si realizzava inoltre anche il delicato restauro delle sale Paolina e Biblioteca. Le possenti mura della Mole offrirono ancora rifugio ai preziosi tesori d’arte e alla popolazione durante la Seconda guerra mondiale.
Attualmente non è visitabile la Cappella dei Condannati (vedi Planimetria I° livello, 1.2) che si affaccia sul Cortile delle Fucilazioni (Planimetria I° livello, 1.3) e che identifica lo spazio antistante la libreria del Museo, ospitata al piano terra dell'Armeria di Clemente X (vedi Planimetria II° livello, 2.10).
I resti dell'originario mausoleo dell'Imperatore Adriano risultano oggi ben visibili nelle partiture inferiori dell'edificio, che conservano gran parte dell'antico assetto. Le antiche murature romane risultano perfettamente visibili all'esterno percorrendo l'ambulacro di Bonifacio IX - dove trovano collocazione anche i resti di alcune delle colossali statue che dovevano ornare il sepolcro. Dal primo livello, scendendo i pochi gradini della moderna gradinata metallica, si accede all'atrio romano, che oggi ospita alcuni plastici ricostruttivi dell'edificio e che in origine, nella nicchia di fondo, accoglieva una colossale statua dell'imperatore. I grandi blocchi in travertino che ricoprono le pareti mostrano chiaramente i fori delle grappe metalliche che ancoravano il rivestimento marmoreo di età romana. Un passaggio sul lato destro del vano immette nella grande rampa elicoidale che compie un intero giro all'interno del cilindro, conducendo al livello superiore ad alla Sala delle Urne, il cuore dell'antico sepolcro, che occupa esattamente il centro dell'edificio adrianeo.
Degli antichi sistemi difensivi - resi completamente inutili nel XVII secolo con l'avvento delle armi da fuoco - sopravvivono oggi l'antica Marcia Ronda, il camminamento che corre lungo le mura merlate del Castello (Planimetria II° livello, 2.2); i quattro bastioni angolari dedicati agli Evangelisti; Il Giretto Coperto e il Giretto Scoperto (Planimetria V° livello, 5.4), la cinta bastionata pentagonale esterna e il Passetto di Borgo, che collega i Palazzi Vaticani al Castello. Nel passato hanno svolto un ruolo cruciale in caso di assedio anche i locali adibiti a depositi per l'olio ed il grano, voluti da papa Borgia ma oggi non accessibili.
All'interno del Castel Sant'Angelo anche i numerosi ambienti destinati al carcere hanno una loro storia e ancora oggi sono visitabili. La cella più malfamata era quella detta Sammalò o San Marocco, sul retro del bastione di San Marco (Planimetria II° livello, 2.4). Il condannato vi veniva calato dall'alto e a malapena aveva spazio per sistemarsi mezzo piegato, non potendo stare né in piedi, né sdraiato. La cella era anticamente uno dei quattro sfiatatoi che davano aria alla sala centrale del Mausoleo di Adriano, dove si trovavano le urne imperiali, e che si affacciava sulla rampa di scale. Nel medioevo era stato trasformato in segreta e qui era stato fatto un disegno dell'oscuro "San Marocco", poi storpiato in "Sammalò". Nel piano inferiore della costruzione semicircolare del Cortile del Pozzo (o "del Teatro", vedi Planimetria IV° livello, 4.10), eretta da Alessandro VI, c'erano le celle riservate ai personaggi di riguardo. Qui tra il 1538 e 1539 fu detenuto Benvenuto Cellini. Sul cosiddetto Giretto di Pio IV, a destra della Loggia di Paolo III, erano 11 le prigioni utilizzate per i prigionieri politici. Originariamente erano stanze costruite per i familiari di papa Gregorio XVI. Nell'antica loggia superiore dell'appartamento pontificio di Paolo III vi era inoltre la “Cagliostra” (vedi Planimetria VI° livello, 6.6), così chiamata perché nel 1789 vi fu tenuto prigioniero il celebre avventuriero Giuseppe Balsamo, noto come conte di Cagliostro. Questa era una prigione di lusso destinata a detenuti di riguardo.
Per commemorare l'avvenimento che ha dato il nome attuale alla Rocca, un ultimo accenno va destinato alla statua d’angelo che corona il Castello (vedi Planimetria, VII° livello, 7.3). In origine si trattava di una statua di legno che finì per consunzione; il secondo angelo, di marmo, fu distrutto nel 1379 in un assedio e sostituito nel 1453 da un angelo di marmo con le ali di bronzo. Questo angelo venne distrutto nel 1497 da un fulmine che fece esplodere una polveriera nel Castello, e fu sostituito con uno di bronzo dorato che però nel 1527 venne fuso per farne cannoni. Infine fu la volta di una statua in marmo con le ali di bronzo di Raffaello da Montelupo risalente al XVI secolo e attualmente visibile nel Cortile dell'Angelo, e poi, nel 1753, arrivò l'attuale angelo in bronzo di Pierre van Verschaffelt, sottoposto a restauro tra il 1983 e il 1986.
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Prezzi ed orari
Tariffe
Intero € 10,00*
* Il prezzo del biglietto intero è soggetto a variazioni in occasione di mostre
Ridotto € 5,00*
cittadini dell'Unione Europea tra i 18 e i 25 anni,
insegnanti di ruolo nelle scuole statali
* Il prezzo del biglietto ridotto è soggetto a variazioni in occasione di mostre
Gratuito:
ingresso gratuito ogni prima domenica del mese inoltre per cittadini dell'Unione Europea minori di 18 anni, scolaresche e insegnanti accompagnatori, studenti e docenti di Architettura, Lettere (indirizzo archeologico o storico-artistico), Conservazione dei Beni Culturali e Scienze della Formazione, Accademie di Belle Arti, dipendenti del Ministero Per i Beni e le Attività Culturali, Membri ICOM, guide ed interpreti turistici in servizio, giornalisti con tesserino dell'ordine, gruppi scolastici con accompagnatore, previa prenotazione, portatori di handicap con accompagnatore.
Orari di apertura
Il castello è visitabile tutti i giorni dalle ore 9.00 alle 19.30.
La biglietteria chiude alle 18.30
Come raggiungere
Metropolitana: Linea A: fermata Lepanto o fermata Ottaviano-San Pietro
Autobus:
linee 62, 23, 271, 982, 280 (fermata Piazza Pia);
inea 40 (capolinea Piazza Pia);
linea 34 (fermata via di Porta Castello);
linee 49, 87, 926, 990 (capolinea Piazza Cavour-fermata via Crescenzio);
linee 64, 46 (fermata Santo Spirito).
Recensioni
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Storia
E’ difficile parlare di un’unica “storia” per questo Castello: tante e tali sono le vicende che lo riguardano, per cui è più corretto parlare di diverse storie, ognuna inerente a uno degli aspetti della Rocca.
Per quanto riguarda, per iniziare, il corso degli eventi che si sono susseguiti per l’affermazione del suonome, possiamo iniziare dicendo che fino al XI secolo fu chiamato “Adrianeum” e anche “templum Adriani” e “templum et castellum Adriani”, in ricordo della sua origine voluta dall’imperatore Adriano nel 135 perché servisse da tomba imperiale per sé e i successori. Il ricordo di questi appellativi è tutt’oggi presente nella dizione moderna di Mole Adriana. Quando, nel 359 a.C., Onorio incluse lo nella cinta muraria di Roma – trasformandolo in una sorta di fortilizio per la difesa della città – ecco che sorse l'appellativo di “castellum”. Nel VI secolo apparve anche la denominazione “castellum sancti Angeli”, in ricordo della visione dell’arcangelo Michele rinfoderante la spada sulla Mole Adriana avuta da papa Gregorio Magno durante una solenne processione penitenziale per scongiurare la peste che infieriva su Roma, visione interpretata come presagio dell’imminente fine della peste, cosa che avvenne. Nel 974 se ne impadronì Crescenzio, della famiglia di Alberico, che lo fortifica ulteriormente: perciò venne ulteriormente ribattezzato “Castrum Crescentii”. Questo nome durerà fino alla seconda metà del XV secolo, cedendo poi definitivamente il passo alla dizione attuale. Dall'XI secolo nelle bolle pontificie si usò la dizione mista “Castrum nostrum Crescenzii” e “Castrum Sancti Angeli”. Nelle Chansons de geste è detto anche Torre oppure “Palais Croissant”, denominazione quest’ultima che è la traduzione di Crescentii ma che tradotto letteralmente significa "palazzo mezzaluna", curiosamente rimandando a quella pasta lievitata a due punte che accompagna in genere il "cappuccino", detta appunto in Francia "croissant" e dai romani "cornetto". Prima dell'anno Mille i cronisti lo chiamano “domus Theodorici” e anche “carceres Theodorici” perché Teodorico re d’Italia (493-526) lo adibì a prigione, funzione mantenuta anche sotto i papi e con il governo italiano, fino al 1901.
La storia lunghissima e variegata dell'edificio, con le sue mille metamorfosi sembra essersi sedimentata nel complicato intrico di sotterranei, ambienti, logge, scale e cortili che costituiscono l'attuale assetto del Castello. La struttura originaria e le successive superfetazioni si compenetrano, sovrapponendosi e fondendosi l'una con le altre, e dando vita ad un organismo sfaccettato e complesso, carico di valenze simboliche e di stratificazioni storiche.
La Rocca che oggi è per noi il Castel Sant’Angelo fu iniziata dall'imperatore Adriano nel 125 quale sua mausoleo funebre, ispirandosi all'ormai completo mausoleo di Augusto. Adriano morì nel 138 d.C., un anno prima che la costruzione del suo Mausoleo venisse condotta a termine: fu quindi il suo successore, Antonino Pio, nel 139, a consacrare il sepolcro e a farvi trasferire le spoglie, insieme a quelle della sua sposa Sabina. Al tempo in cui fu eretto, l'Adrianeum ricoprì sicuramente una funzione celebrativa della grandezza dell'imperatore. Qui furono custoditi i resti mortali dell'imperatore Adriano e di sua moglie Sabina, dell'imperatore Antonino Pio, di sua moglie Faustina maggiore e di tre dei loro figli, di Lucio Elio Cesare, di Commodo, dell'imperatore Marco Aurelio e di altri tre dei suoi figli, dell'imperatore Settimio Severo, di sua moglie Giulia Domna e dei loro figli e imperatori Geta e Caracalla. La Mole Adriana ha sempre rivestito per Roma un ruolo di primaria importanza. Se la vicinanza con la Basilica di San Pietro, sorta sulla tomba dell'apostolo nel 319, sembrava predestinarla al ruolo di roccaforte della Cristianità, la sua collocazione strategica ne fece un avamposto indispensabile per chiunque aspirasse a dirigere le sorti della città.
In un'Urbe devastata ed abbandonata, oggetto di continui sacchi ed incursioni, dove tutte le vestigia dell'antico splendore cadono in rovina distrutte dalla furia degli invasori o semplicemente sfruttate come 'cave' di materia prima, l'ex-sepolcro di Adriano diviene il punto di resistenza della città, l'unica e vera roccaforte romana. Nel 537, nel pieno della cosiddetta guerra gotico-bizantina, vi si asserragliano le truppe greche al comando del generale Narsete, inviate dall'imperatore Giustiniano per respingere gli occupanti visigoti dalla penisola. Poco lontano, pronti all'assedio, si accampano i goti di Totila. A protezione dell'insediamento militare elevano una piccola cinta muraria, creando un quartiere fortificato designato con il nome tedesco di Burg: questo rifugio improvvisato costituisce il nucleo iniziale da cui si svilupperà l'odierno quartiere di Borgo. L'ex-sepolcro di Adriano mostra subito la sua efficacia di fortificazione: la posizione naturalmente protetta, l'elevazione, la robustezza delle mura ne fanno una fortezza difficilmente espugnabile: quando i goti lo cingono d'assedio i bizantini asserragliati al suo interno - forse a corto di munizioni adeguate - fanno a pezzi le colossali statue che ornano l'edificio e scagliano sugli aggressori teste, mani e piedi di marmo che massacrano un buon numero di goti, mettendo in fuga i superstiti. L'antico Hadrianeum e l'annesso Pons Aelius si spoglia dunque di ogni residuo significato legato alla originaria funzione sepolcrale per connotarsi come avamposto fortificato, che controlla l'accesso al settore settentrionale della città.
Il Castello, come già accennato, ha preso il suo nome attuale nel 590. Quell’anno Roma era afflitta da una grave pestilenza, per allontanare la quale venne organizzata una solenne processione penitenziale cui partecipò lo stesso papa Papa Gregorio I. Quando la processione giunse in prossimità della Mole Adriana, il papa ebbe la visione dell'arcangelo Michele che rinfoderava la sua spada. La visione venne interpretata come un segno celeste preannunciante l’imminente fine dell’epidemia, cosa che effettivamente avvenne. Da allora i romani cominciarono a chiamare Castel S. Angelo la Mole Adriana e a ricordo del prodigio nel XIII secolo posero sullo spalto più alto del Castello un angelo in atto di rinfoderare la spada. Ancora oggi nel Museo Capitolino è conservata una pietra circolare con impronte dei piedi che secondo la tradizione sarebbero quelli lasciate dall’Arcangelo quando si fermò per annunziare la fine della peste.
Il possesso del Castello fu oggetto di contesa di numerose famiglie nobili romane: nella prima metà del X secolo la mole diventò la roccaforte del senatore Teofilatto e della sua famiglia, la figlia Marozia e il nipote Alberico, che la utilizzarono anche come prigione, uso che il Castello conserverà fino al 1901. Nel 932 Marozia, già amante di papa Sergio III e moglie di Alberico I marchese di Spoleto e poi di Guido di Toscana, forse per fare la “spiritosa”, volle celebrare il suo terzo matrimonio con Ugo di Provenza nella camera sepolcrale degli imperatori in Castel Sant’Angelo. Ma il gesto non le portò fortuna perché durante il pranzo nuziale Alberico II, il figlio di primo letto, apparve improvvisamente in Castel Sant’Angelo costringendo Ugo alla fuga e impadronendosi del potere. Marozia finirà oscuramente i suoi giorni in una prigione di Castel Sant’Angelo. Nella seconda metà del X secolo il Castello passò in mano ai Crescenzi, e vi rimase per un secolo, durante il quale i Crescenzi lo rafforzarono al punto da imporre alla costruzione il loro nome. Con questo nome Castel Sant’Angelo verrà identificato a lungo, anche dopo il passaggio di proprietà ai Pierleoni e successivamente agli Orsini. Niccolò III, papa di questa famiglia, considerata la fama di imprendibilità del Castello e la sua vicinanza con la Basilica di San Pietro e il Palazzo Vaticano, decise di trasferirvi parzialmente la sede apostolica, allora nel Palazzo Lateranense, da lui giudicato poco sicuro. Per garantire una maggiore sicurezza al Palazzo Vaticano realizzò il celebre passetto, che costituiva il passaggio protetto per il pontefice dalla basilica di San Pietro alla fortezza. Nel 1367 le chiavi dell'edificio vennero consegnate a papa Urbano V, per sollecitarne il rientro a Roma dall'esilio avignonese. Da questo momento Castel Sant'Angelo lega inscindibilmente le sue sorti a quelle dei pontefici: per la sua struttura solida e fortificata i papi lo utilizzeranno come rifugio nei momenti di pericolo, per ospitare l’Archivio e il Tesoro Vaticani, ma anche come tribunale e prigione. Nel 1379 il Castello venne quasi ridotto al suolo dalla popolazione inferocita contro la guarnigione francese lasciata a presidio del Castello da Urbano V.
All'alba del 6 maggio 1527 un esercito di 18.000 mercenari formato in gran parte da lanzichenecchi tedeschi, al comando del conestabile Carlo di Borbone dà l'assalto alla Città leonina, riuscendo a penetrare in Vaticano. I soldati trucidano la milizia romana, la Guardia Svizzera a difesa del Palazzo e della basilica di San Pietro, preti e monache, ed anche tutti gli ammalati ricoverati presso l'Ospedale di Santo Spirito. Non soddisfatti appiccano il fuoco a case, chiese e conventi, lanciandosi in saccheggi e violenze. Una parte della popolazione - circa tremila persone, in gran parte donne e bambini - fa in tempo a rifugiarsi all'interno delle mura di Castel Sant'Angelo, così come papa Clemente VII, lesto a percorrere il Passetto di Borgo per mettersi in salvo. Entro sera Roma è nelle mani dell'esercito invasore, che continua per sette giorni e sette notti le sue scorrerie in una città di fantasmi. Convinti che i nobili romani abbiano nascosto i loro tesori nelle viscere della città, i mercenari iniziano a scandagliare le fogne; dopo alcuni giorni si verificano i primi casi di peste tra i lanzichenecchi. Dopo meno di una settimana l'epidemia dilaga a Roma, giungendo a mietere vittime fin dentro le mura di Castel Sant'Angelo. La fortezza tuttavia non cede e solo dopo un mese di assedio, il 5 giugno una guarnigione imperiale riesce a penetrar tenendovi prigioniero Clemente VII ed il suo seguito. Dalle ferite apparentemente insanabili inferte dal Sacco del 1527, inizia a poco a poco a delinearsi il profilo di una nuova Roma, il cui massimo artefice è papa Paolo III, uomo colto, amante delle lettere e delle arti, fermamente intenzionato a restituire alla città la dignità e lo splendore che si addicono alla sede del Papato. Le opere di fortificazione di Alessandro VI permisero, 32 anni dopo, a papa Clemente VII di resistere sette mesi all'assedio delle truppe di Carlo V, i famosi Lanzichenecchi, che il 6 maggio 1527 diedero inizio al sacco di Roma.
Nell'ultimo scorcio del XIX secolo il Castello è degradato sino al punto di svolgere le funzioni di caserma, carcere militare e magazzino per materiali da guerra; nulla o quasi si conserva del suo antico e fastoso aspetto di dimora papale: spariti gli affreschi sotto un pesante strato di intonaco bianco, riadattate ad altra funzione numerose sale di rappresentanza dell'antica dimora, in stato di abbandono tutte le strutture dell'antico monumento. A capo della caserma, che ricade sotto la giurisdizione del Ministero della Guerra, c'è il colonnello Luigi Durand de la Penne. Questi, insieme con il suo collaboratore capitano Mariano Borgatti, concepisce per primo il progetto di riportare il monumento al suo antico aspetto destinandolo a sede del costituendo Museo dell'Ingegneria Militare. A tale scopo, a partire dal 1901 viene avviata una imponente campagna di restauro dell'edificio, che si conclude nel 1906; alla fine dell'anno il re Vittorio Emanuele III inaugura il nuovo museo, suddiviso in sei sezioni ed alloggiato in alcune delle sale del terzo e quarto livello. Nel corso dei lavori di scavo prima, e di restauro poi, assume sempre maggior rilievo il ruolo svolto da Borgatti, ingegnere docente di architettura militare e storico dilettante. E' proprio la sua passione per la ricostruzione storica - spesso basata maggiormente su fantasiose ipotesi che sull'accuratezza filologica - ad influenzare pesantemente i lavori di restauro dell'antico mausoleo di Adriano. Nella visione di Borgatti, infatti, l'autentica struttura dell'edificio è da identificarsi unicamente nelle forme quattro-cinquecentesche del Castello: ogni pre-esistenza ed ogni superfetazione posteriore, pertanto, sono arbitrariamente manipolate, con il trasferimento di arredi, manufatti e sculture architettoniche e, nel peggiore dei casi, con la demolizione di interi corpi di fabbrica. La medesima passione è anche alla base del progetto, che prende avvio nel 1906, per la creazione di un Museo dell'Arte Medievale e Rinascimentale all'interno degli spazi del Castello, che possa documentare i molteplici aspetti della vita dell'edificio e della città durante tale periodo. L'estro di Borgatti emerge chiaramente durante l'allestimento delle mostre retrospettive ospitate all'interno del Castello in occasione del cinquantenario dell'Unità d'Italia, nel 1911: il capitano del Genio Militare progetta una suggestiva scenografia a cielo aperto, con la ricostruzione di alcune botteghe quattrocentesche e di una farmacia seicentesca, il posizionamento dell'Angelo di Raffaello da Montelupo nel Cortile d'Onore, la sistemazione di alcuni ambienti - tra cui gli appartamenti papali - arredati con pezzi 'in stile' della provenienza più disparata. L'insieme era concepito per stupire i visitatori, proiettandoli in un'ideale passato della fortezza e facendoli immergere in un'atmosfera irreale, al confine tra sogno e realtà. Alla conclusione dell'esposizione, avvenuta nel giugno 1912, le competenze relative al Castello vengono suddivise tra due Ministeri: al Ministero delle Guerra viene affidata la parte bassa del monumento, comprendete i giardini, mentre il dicastero per la Pubblica Istruzione si vede affidare il vero e proprio corpo monumentale dell'edificio. Il 4 maggio 1925, con regio decreto, viene infine istituito Castel Sant'Angelo, patrocinato dal Principe di Piemonte ed affidato alla direzione di Mariano Borgatti. Proseguono i lavori di restauro dell'edificio con l'abbattimento delle piccole costruzioni che si addossano al Passetto di Borgo, cui viene restituito l'assetto originario e con il restauro della Sala Paolina e della Biblioteca, i due maggiori ambienti di rappresentanza degli appartamenti farnesiani. Si procede altresì alla sistemazione della varie sale, arredate con mobili e suppellettili provenienti dalle numerose donazioni che i privati effettuano. Tra le più importanti ricordiamo quella dei Conti Vittoria e Alessandro Contini Bonacossi (1878-1955) - che va ad arredare cinque sale e due gabinetti degli appartamenti papali - e quella di Mario Menotti, alcuni esemplare della quale possono essere oggi ammirati nella Sala di Amore e Psiche.
Castel Sant'Angelo oggi ospita numerose collezioni, in larga misura fruibili da parte del grande pubblico, provenienti come già detto da donazioni di privati e in parte dal cuore stesso del Castello, come le pregevoli ceramiche rinascimentali o i lacerti della monumentale decorazione scultorea di epoca romana, emersi dalle viscere dell'antico sepolcro di Adriano nel corso delle numerose campagne di scavo e restauro. Le attività didattiche che si svolgono all’interno del Castel Sant'Angelo fanno capo al Laboratorio Didattico della Soprintendenza Speciale per il Polo Museale Romano, la cui attività si esplica nella organizzazione e nel coordinamento generale dei servizi educativi, con il fine di promuovere la conoscenza del Museo presso il grande pubblico.
Capitolo a sé costituisce invece la storia delle prigioni del Castello, con la quale chiudiamo sul passato di questa Rocca. A partire dal XVII secolo Castel Sant'Angelo sembra gradualmente perdere il ruolo di residenza per configurarsi quasi esclusivamente come carcere. L'introduzione delle armi da fuoco a lunga gittata rende inadeguate le fortificazioni di cui l'edificio è provvisto, e d'altra parte i tempi turbolenti in cui i pontefici erano costretti a riparare tra le salde mura dell'edificio per trovare la salvezza sembrano ormai passati. Oppositori dell'autorità pontificia, carbonari e patrioti consumano i loro giorni di prigionia tra queste mura possenti, almeno fino al 20 settembre 1870, anno in cui Roma venne proclamata capitale del giovane Regno d'Italia. Il nuovo ruolo a cui assurse la città rende necessarie delle trasformazioni dell'impianto urbanistico: per far posto agli ampi viali del Lungotevere vengono abbattuti due bastioni della cinta muraria pentagonale, i fossati che corrono intorno all'edificio sono interrati, si radono al suolo alcune costruzioni di papa Urbano VIII; a causa del contemporaneo innalzamento del livello stradale, poi, l'altezza della facciata del Castello risulta notevolmente ridotta. A differenza di Benvenuto Cellini, che riuscì ad evadere, molti furono gli illustri prigionieri che qui vi persero la vita. Tanti di questi furono vittime dei Borgia. Tra di essi, il cardinale Giovanni Battista Orsini (cardinale). Questi fu imprigionato in Castel Sant'Angelo con l'accusa di aver tentato di avvelenare papa Alessandro VI. Considerata la gravità dell'accusa, la madre e l'amante del cardinale, temendo per la sorte del loro congiunto si presentarono al pontefice con un'offerta: una perla rara e preziosissima in cambio del cardinale. Nota era la debolezza dei Borgia per le perle, sembra che Lucrezia ne possedesse più di tremila. Il papa accettò la proposta, prese la perla e, mantenendo fede alla parola data, restituì il cardinale: morto. Nelle celle di Castel Sant'Angelo vennero tenuti, tra gli altri prigionieri illustri, gli umanisti Platina e Pomponio Leto, Beatrice Cenci (condannata a morte nonostante la giovanissima età e le attenuanti) e Giordano Bruno, oltre ai patrioti italiani durante il Risorgimento. I processi venivano svolti nella Sala della Giustizia, le esecuzioni capitali generalmente eseguite fuori del Castello, nella piazzetta al di là di Ponte Sant'Angelo, anche se numerose furono le esecuzioni sommarie all'interno del Castello e nelle stesse carceri. Nella zona del cortile antistante la Cappella dei Condannati o del Crocifisso nell'Ottocento venivano eseguite le condanne a morte mediante fucilazione. A ogni esecuzione di una condanna capitale suonava a morto la Campana della Misericordia, sulla terrazza ai piedi della statua dell'Angelo.
Indirizzo: Lungotevere Castello, 50
Facilities
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